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Bologna numero-01

Camminando di notte

È venerdì sera, l’ultimo di luglio. Come ogni estate, ho lasciato Bologna qualche giorno fa per attraversare gli Alpi e tornare a casa. Stasera non rimango con i miei, ma vado in città a trovare amici. Concerto chiacchierata in un bar associativo di compagni che non esisteva quando vivevo ancora qui. Sulla tangenziale noto che c’è molto traffico considerando la stagione. A Bologna sembra che le vacanze estive siano iniziate a marzo con l’esodo dei fuori-sede, mentre qui tanti cittadini non hanno potuto tornare a casa, dall’altra parte del mediterraneo. La pandemia ha effetti diversi a seconda della geografia. La città sembra strapiena per essere mezza estate. Arrivato nel quartiere dove ho vissuto da giovane adulto, la Bolognina locale, mi sento subito a casa, anche se ogni 3 o 6 mesi che passo, osservo le piccole modificazioni che subisce. Qui la gentrificazione trasforma i vecchi bar di operai in ristoranti vegan, le parrucchieri africane resistono a malapena davanti ai numerosi posti dove farsi tatuare, e a terra sono state disegnate piste ciclabili a doppio senso anche nelle strade dove non ci sarebbe spazio per farlo. Per un po’ mi ritrovo quasi con un ciclista sul cofano. Strana sensazione di pedalare con difficoltà tutto l’anno in una Bologna piena di auto, e di essere motorizzato nel proprio quartiere dove ci sono ormai dieci ciclofficine in una città da poco amministrata da un sindaco ecologista. Dopo diversi anni anche io sono finalmente diventato uno straniero a casa.
Sui muri sono attaccate locandine ovunque. E’ sempre stato così, ma quest’anno, al posto dei concerti DIY organizzati da vecchie conoscenze, si vedono tanti manifesti antirazzisti che denunciano le aggressioni subite sia qui che negli USA. Anche qui black lives matter. A Bologna si scrive direttamente sui muri, qui siamo tutti grafic designer improvvisati, a cercare la colla più forte per lasciare impronte indelebili e pubblicizzare eventi che una volta non erano sui social. Nonostante la pulizia del quartiere e la quarantena, i gruppi antifascisti locali non hanno avuto problemi a lasciare centinaia di tracce in giro.
Dopo una camminata arrivo alla piazza del bar, dove vedo che il concerto si svolge all’aperto, proprio per strada. Decine di persone sono radunate a terra, e la mascherina sembra quasi dimenticata. Musica gipsy-jazz-cantautore di radical chic, che stranamente stasera non mi disturba più di tanto. L’ultima volta che ho visto un concerto era all’Isola, cinque mesi fa. Un’altra epoca. Il pubblico è composto di persone quasi tutte bianche in un quartiere meticcio, però ritrovo la mia amica e il suo amico algerino con chi avevo parlato l’ultima volta, a natale. Vedo anche conoscenze che non vedo da quando sono andato via, con qualche ruga e capello bianco in più, uguale a me. La discussione gira sempre intorno alla mia esperienza in Italia, al fantasma che i compagni lionesi hanno sulle città piene di centri sociali e della lotta No Tav. Ogni volta mi lamento della mancanza di prospettive lavorative, degli sgomberi, del welfare debole e del clima troppo umido. Ogni volta mi rispondono che “anche qui la gente sta male / la situazione sta per esplodere”. Mi ricordo quando anche io volevo andare via.
La stessa sera, a qualche centinaia di metri si svolge una mostra nell’infoshock punk locale dove ho passato tanti sabati pomeriggi, ma la possibilità di rivedere contemporaneamente tante persone conosciute da anni mi spaventa, soprattutto dopo mesi di mascherina e isolamento forzato. Sono di qua o di là? Non lo so. Dopo il concerto, andiamo a camminare lungo il fiume, dove tantissimi giovani si sono radunati con tutti gli alcolici immaginabili, alla faccia del distanziamento sociale. Sento un mix di tensione e di felicità nell’aria. Soprattutto, la libertà si è pagata a caro prezzo e ormai nessuno vuole tornare in dietro. Camminare lungo il fiume a mezzanotte è una cosa che mi manca tantissimo a Bologna dove ho eletto il canale Navile come casa secondaria. Ogni volta che torno qui devo girare ovunque, camminare lungo i due fiumi e sopra i colli nei quartieri dove arriva il funicolare per osservare le finestre illuminate dei palazzi. Poi scendo le scale strette per attraversare i ponti quando soffia il vento. Mi chiedo spesso se tornerò qui, e se allora mi mancherà Bologna. Ma davvero vorrei continuare a cercare il celio nascosto dai portici ? Oppure girare in mezzo alla nebbia, sudato nel buio di novembre in sella alla mia bici ? Mi mancherà questa periferia bolognese sovietica fatta di palazzi tristi, stradoni e zone industriali ? Forse mi mancherà.
La nostalgia è una cosa strana che si nasconde dove non te la aspetti, come un angolo di strada dove hai vissuto. Anni fa non riuscivo più ad apprezzare la bellezza che c’era qui. Ero troppo occupato ad attraversare i tanti posti liberi di Bologna, prima dell’arrivo del nulla. Ero convinto di fare parte di una comunità allargata di persone provenienti da tutto il mondo. Quando sei un neo arrivato che non conosce bene la lingua, è facile vivere senza il peso del passato. Tutto ti sembra nuovo, e ti esprimi con il cuore. Quando inizi a capire dove sei, ne diventi parte anche tu, e ne adotti le abitudini insieme alla lingua. Non pensavo di riuscire a diventare un Italiano. Mi sono sempre considerato cittadino del mondo, e ormai mi sembra di ragionare con lo stesso fatalismo che detta la vita di tante persone a Bologna, senza però capirne bene le regole. Fino all’anno scorso, quando tornavo a casa c’era sempre qualcuno per chiedermi se volevo tornare. Quest’anno sarebbe stato la prima volta che avrei risposto di sì.
Chi sa se saremo di nuovo messi in quarantena quest’autunno. Chi sa se Bologna tornerà ad essere la Bologna che ho conosciuto solo qualche anno fa. Il futuro è incerto ovunque, e io non so più dove vorrei andare a vivere. Intanto rimangono le persone, che in qualche modo sono l’unico motivo reale di vivere in una città, qualunque sia.

zenkid