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Il Nuovo Cinema Latinoamericano e le donne invisibili

17 marzo, 2020 / Pepi Goncalvez
https://www.hemisferioizquierdo.uy/single-post/2020/03/17/El-Nuevo-Cine-Latinoamericano-y-las-mujeres-invisibles

La produzione cinematografica latinoamericana ha avuto fin dalle sue origini, numerose registe di documentari e di lungometraggi di finzione, vere e proprie pioniere presenti in tutti i paesi del continente e che nella stragrande maggioranza dei casi vennero omesse e dimenticate dalla storia del cinema ufficiale. Fu presente fin dall’inizio anche un vero e proprio filone cinematografico femminista: la regista messicana Matilde Landeta (1) realizzò il lungometraggio La negra Angustias (1949) quando nel suo paese si lottava per il suffragio femminile. In Uruguay, l’italo – uruguayana Rina Massardi (2) produsse e diresse ¿Vocación? (1938), considerata la prima pellicola lirica dell’intero continente. L’argentina Emilia Saleny (3) che realizzò La niña del bosque (1917), fu attrice e regista oltre che fondatrice della prima Accademia delle Arti Cinematografiche del paese.

Il Nuovo Cinema Latinoamericano, cinema critico e imperfetto, anti – imperialista e anti – borghese che si delineò a Montevideo in occasione del Primo Congresso Latinoamericano dei Cineasti Indipendenti (1958) e che si concretizzò come vero e proprio Movimento al Festival de Viña del Mar (1967), fondatosi concettualmente al Festival de Habana (1979) e alla Scuola Internazionale di Cinema e TV di San Antonio de Los Baños (1986); non ha potuto non fare a meno di una prospettiva egemonica in materia di genere. L’accesso ai posti di regia per le donne erano molto scarsi e la loro rappresentazione al cinema era generalmente molto convenzionale (rappresentate come madri, come vittime, ecc). La critica alla condizione d’oppressione femminile fu inoltre sempre piuttosto discreta, senza soffermarsi sulla questione del lavoro domestico non retribuito. Gabriel García Márquez e Miguel Littín, Glauber Rocha e Nelson Pereira Dos Santos, Fernando Birri, Pino Solanas, Tomás Gutierrez Alea, Santiago Alvarez, Paul Leduc e Mario Handler furono alcuni tra quelli che presero parte di quell’epica cinematografica che giunse – come loro stessi affermarono – “a cambiarlo todo”.

I nomi delle autrici femminili che hanno partecipato alla fondazione di questo movimento furono completamente depennati. Come nel caso di Sara Gomez (4), regista cinematografica afro – cubana, realizzatrice di cortometraggi documentari e assistente alla regia di Agnés Varda durante le riprese di un suo film sull’isola nel 1963; quest’ultimo mai portato a compimento.
Gomez fu un’autrice sensibile alle tematiche di marginalità in ottica femminista, alle questioni di genere e di razzismo che ha potuto trattare ed esplicare soprattutto nei primi documentari girati durante gli anni della rivoluzione. La regista, morta nel 1974 a soli 31 anni, lasciò inconcluso il suo primo lungometraggio di finzione De cierta manera (5).

Il Nuovo Cinema Latinoamericano non si limitò a trattare la tematica di genere “a porte chiuse”. Fece ancor peggio, riuscendo a riproporre l’ordine patriarcale all’interno del movimento nel momento di filmare, creando la cosiddetta figura della produttrice – sposa. Passarono molti anni prima che le donne del NCL acquisissero visibilità, riconoscimento e una voce propria. Quest’ultime occultate dal riconoscimento artistico e sociale dei propri mariti, furono l’ombra dei lavori che contribuirono a creare. Non compaiono (nei titoli di testa o di coda) nonostante il loro innegabile valore, e non compaiono su Wikipedia.
È il caso di Bertha Navarro, produttrice cinematografica messicana con oltre 36 lavori all’attivo – che scoprì inoltre il pluripremiato regista Guillermo del Toro –, o come la brasiliana Assunção Hernándes produttrice di oltre 28 lungometraggi, o ancora Mariza Leão, brasiliana con 38 titoli alle spalle. E solo per citarne alcune.

L’ufficio di produzione fu come la “cucina” del NCL, uno spazio domestico e riservato, dove le donne svolsero il loro lavoro senza alcun tipo di riconoscimento dal punto di vista creativo. La produzione come servilismo in contrapposizione alla creazione, è stato funzionale a un cinema che ha provato ad essere rivoluzionario nelle forme senza aver mai smesso di essere androcentrico – coloniale.

Traduzione: Lore Tore