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Riflessioni su DAD

Devo ammettere che almeno fino a 6 settimane fa non avevo idea di cosa fosse un browser, un server, un software. Non avevo proprio idea di come funzionassero e cosa fossero. L’unica cosa che sapevo era che appartenevano al lessico informatico e, quando li sentivo nominare, associavo il suono di queste parole solamente al gracchiare sinistro dei contatti elettrici. A dire la verità non me ne sono nemmeno mai interessata più di tanto e quando mi trovavo a discutere con qualcuno dell’utilizzo dei nostri dati da parte di Google, Apple, Microsoft etc. etc.. chiudevo la discussione affermando che ormai tutto ciò di interessante che potevamo possedere l’avevamo già elargito largamente, dal primo momento in cui avevamo deciso di passare agli smartphone. Sì, gli smartphone. Ricordo di quanto a lungo sono rimasta reticente all’acquisto di questi macchinari e di quanto a lungo resistetti nel mio eremitaggio digitale. Non ricordo invece quale sia stato il motivo che mi abbia fatto cambiare idea: probabilmente la crescente necessità di mantenere i contatti tramite quello che pareva ormai l’unico modo di interagire con gli amici lontani – e anche quelli vicini – Whatsapp. O magari la possibilità di vedere immediatamente le nuove mail. Chissà. Non sono passati molti anni da quando ho effettuato questa conversione alla Connessione ma ho già scordato quale era il mio modo di relazionarmi agli altri prima del cambiamento.

Comunque, a parte questo piccolo avvicinamento, il mio rapporto con il tecnologico è sempre rimasto molto relativo. Il computer l’ho sempre usato sì, ma al massimo per connettermi a Internet per leggere le notizie, fare qualche improvvisata su Facebook, sempre evitando di diffondere informazioni troppo personali, e a scrivere in videoscrittura. Insomma il mio utilizzo degli strumenti digitali è sempre stato limitato – “ e chi se ne frega se Google utilizza le mie ricerche sul miglior modo di realizzare un anti-zanzare fatto in casa o quelle sulle birre artigianali, oppure ancora se mi consiglia i migliori video didattici da utilizzare per il mio lavoro”.

Sì, come avrete capito, lavoro in una scuola e, come tanti insegnanti in questo periodo, mi sono trovata, volente o nolente, a sperimentarmi nella didattica a distanza.
Insegnante, sì, ma in scadenza. Sono un insegnante di quella categoria che nemmeno si può definire precaria, perché almeno i precari stanno all’interno della graduatoria di Terza Fascia. Io faccio parte dell’infinito e informe oceano della Messa a Disposizione, quell’esercito di corvi che vola sulle scuole in attesa che i caduti siano superiori a quelli che possono rimpiazzarli. Mi scuso per la metafora guerresca, tanto cara a questo periodo pandemico, ma d’altronde il corvo che piomba sulla carogna mi pare l’immagine più adeguata per far comprendere ai non addetti ai lavori l’arcipelago MaD.
Insomma, improvvisamente e senza particolari conoscenze, se non basilari, sul mondo informatico, mi sono trovato catapultato nell’emergenza delle scuole chiuse e nella necessità di rimanere in contatto con i ragazzi. Certo, fin da subito ci siamo resi conto che “questa fantastica opportunità di rinnovamento digitale”(cit.) tanto agognata dal susseguirsi di vari governi e ministri non funzionava affatto. Fin da subito questo nuovo modo di fare scuola si è delineato nel suo reale impatto classista.
-Prof. la mia connessione non va – – Qualcuno sa che fine ha fatto x? – Prof. Non la sento – Prof. Sul cellulare non riesco a vedere le slide- Insomma, dalla chiusura della scuola non sono quantificabili i ragazzi che per un motivo o l’altro non hanno avuto accesso alla didattica a distanza. E quelli che invece riescono a seguire? Sono tristi, apatici, hanno nostalgia dei compagni e degli insegnanti. Hanno imparato a relazionarsi con gli altri tramite uno schermo. Questo tipo di didattica ha posto le basi della normalizzazione del concetto di “mi piace” anche nel contesto scolastico.
Ma d’altronde non è questo quello su cui avevo intenzione di riflettere con questi appunti.

Riprendendo le fila del discorso, mi sono trovata improvvisamente a dover far uso di tecnologie di cui conoscevo poco o niente buttandomi quindi sulla cieca ed acritica sperimentazione di quello che per prima mi sono trovata davanti. Mea culpa.
Solo successivamente, e dopo aver iniziato per la prima volta nella mia vita a fare uso dei servizi dell’etere in modo incisivo, ho iniziato ad informarmi e ad interrogarmi sui possibili effetti dell’ ingerenza di Google sulla scuola pubblica (e non solo) e come iniziare a tirarmi fuori da questi meccanismi. Considerando che con tutti i dati che dall’8 Marzo i docenti italiani, me compresa, hanno iniziato a riversare sui colossi della tecnologia, e vista la soddisfazione statale nella riuscita di questa DaD, non mi parrebbe strano che l’istruzione telematica diventasse una prassi.
Intanto io mi sono convertita, per quanto possibile, all’utilizzo di piattaforme open-source che esistono e sono un’ottima alternativa a Google, Microsoft e le altre multinazionali del digitale.

Tuttavia continuo a chiedermi: “Non sarà troppo tardi?”.

Intanto le graduatorie non saranno aggiornate. Il Ministero ci informa che non è possibile, ad oggi, digitalizzare parte della procedura di inserimento.