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Stato di anormalità

Da International Approach

L’anormalità è divenuta una costante di tutti i giorni; i titoli dei giornali prosperano rigogliosi di notizie sulla pandemia e sulle sue tragiche conseguenze; nel mondo la maggior parte dei governi preme sull’importanza di quanto siano indispensabili le misure speciali, nel tentativo di convincere tuttx del loro benevolo effetto. E in questo scenario di totale assenza della libertà individuale, di distanza sociale, un’ombra ancora più terrificante sta insinuandosi tra noi: la diffidenza sociale.

La narrativa mediatica e del governo ha favorito un clima di sospetto reciproco tra le persone. Il virus edifica efficacemente nuovi timori in ognunx, grazie alla sinistra esistenza degli asintomatici, tanto enfatizzati dai media. Le persone sono attanagliate da un forte senso d’incapacità di combattere il “nemico” invisibile e, di conseguenza, di vincere la “guerra”. La guerra e il Covid19; una parabola questa, divenuta molto comune nel linguaggio politico internazionale; il presidente francese Macron, nel suo discorso alla nazione durato venti minuti, ha ripetuto innumerevoli volte la frase ”nous sommes en guerre”, siamo in guerra. Questa retorica, utilizzata da molti leader, funziona a perfezione come giustificazione per le estreme misure adottate, le quali da un lato attaccano la libertà individuale, ma allo stesso tempo legittimano la necessità di dare continuità alla produzione. Con questo senso d’inettitudine a sconfiggere il virus, condiviso da moltx ma per fortuna non da tuttx, il vicino, o lo sconosciuto in strada, sono divenuti il nuovo nemico. In molti si sono trasformati in diligenti informatori, denunciando alle forze dell’ordine chiunque abbia l’indecenza di infrangere le regole, di affrontare il nemico invisibile; in poche parole chiunque osa uscire da casa. In alcuni paesi, come in Belgio, la polizia ha fatto circolare un avviso nel quale si chiedeva ai cittadini di smettere di denunciare le persone che vedevano per strada, perché il numero delle telefonate che ricevevano era talmente alto, che non riuscivano a sostenerlo.

Se le persone pensano, o sono state spinte a pensare, che questo genere di comportamento sia di qualche utilità nel combattere il virus, si sbagliano alla grande. Questo tipo di attitudine aiuterà solo a rinforzare lo stato di controllo imposto dai governi. Sicuramente è necessario essere responsabili e affrontare la pandemia seriamente come il caso richiede; ma questa situazione ha contribuito a edificare una generale (e ingiustificata) criminalizzazione degli individui. Attraverso lo stato di emergenza, i governi del mondo ignorano, coscientemente, il rispetto della dignità umana e della libertà degli individui. In Italia le persone subiscono multe salatissime se trasgrediscono le leggi speciali, o sono manganellate (e arrestate) se provano a esprimere il loro dissenso verso arresti arbitrari e violenti. La rigidità, insieme alla garantita impunità delle forze dell’ordine, ha raggiunto livelli inediti, che amplificano la tensione sociale, nella totale accondiscendenza del governo.
In Yemen, le persone che si trovano a transitare nelle strade sono inondate da spray disinfettante, come se fossero oggetti inanimati. In India le persone trovate per strada sono prese a manganellate dalla polizia; in Belgio la polizia uccide nei quartieri popolari; in Brasile, la polizia entra nelle favelas e attacca, percuote e tortura i loro abitanti. Quel che rende la situazione ancora più preoccupante è la silente accettazione di questo tipo di violenze da parte della stragrande maggioranza, ma ciò che invece la rende raccapricciante è che alcuni addirittura supportino questo tipo di brutalità.

La paura del virus dona un profondo senso di paralisi, ma dobbiamo restare lucidi e non lasciare che l’anormalità si trasformi in normalità. In alcuni paesi europei si è già passati dalla fase 1, quando i governi e i media sparavano numeri su numeri di decessi e contagi terrorizzando la popolazione, alla fase 2, che è quando i governi rafforzano le misure di sicurezza e i media acclamano la riduzione del crimine;

Venerdì mattina il telegiornale nazionale belga, in un reportage, elogiava il Covid19 come fattore risolutivo della Guerra in Yemen, cominciata cinque anni fa; mentre alcune settimane fa il quotidiano britannico The Guardian, pubblicava un articolo nel quale si affermava che il tasso dei crimini era calato del 20% grazie al Corona Virus.
Questi sono messaggi fuorvianti e pericolosi, che persuadono a vedere la quarantena come qualcosa di positivo, che enfatizzano l’idea malata dell’efficacia della reclusione per risolvere le piaghe della società; è come se spingessero alla normalizzazione di ciò che normale non è, e non può né deve diventarlo.

Inoltre è stata data poca enfasi all’aumento dei casi di violenza domestica, triplicati con il lockdown; alle difficoltà e frustrazioni affrontate da molte famiglie ogni giorno; le famiglie con un reddito basso o con zero reddito (perché lavoratorx in nero, o anche detti “informali”, con la chiusura forzata di tutte le attività, si sono trovatx a non avere più entrate e spesso a non poter beneficiare dei sussidi speciali elargiti dal governo, non avendo un registro nel piano pensionistico). Non si parla delle famiglie al cui interno vi sono disabili; delle famiglie popolose che sono costrette ad una quarantena in spazi minuscoli e insalubri; come del resto è stato detto molto poco sulla solitudine affrontata dagli anziani che vivono da soli e quanto sia difficile per loro vivere l’emergenza. E ancora meno si tengono in considerazione quelle persone che non rientrano nel concetto patriarcale e intriso di moralismo religioso della famiglia tradizionale.

Quando alcune settimane fa, in Sicilia, alcuni supermercati sono stati presi d’assalto da alcuni cittadini, i media italiani non hanno denunciato il governo e la sua incapacità di garantire almeno un pasto al giorno; nessun grido di protesta si è sollevato a difesa del gesto disperato di queste famiglie; al contrario è stato riprodotto un banale stereotipo, minimizzato come un crimine. Così facendo, i media hanno sottratto a queste famiglie una qualsivoglia dignità, rimuovendo così l’identità politica del gesto; una denuncia a pieno titolo contro uno stato che li ha dimenticati. Famiglie e persone povere esistono in Italia; persone invisibili vivono in Italia, ma sembra non essere d’interesse. Infatti, i media italiani si rivolgono a un pubblico bianco, di classe medio-alta; il motto “Andrà tutto bene” evidenzia ancora di più questo divario sociale, e deve bastare a rassicurare quello stesso pubblico privilegiato che vive la sua quarantena dorata; il resto è lasciato in un angolo e utilizzato al momento giusto per spargere terrore.

Mentre l’emergenza sociale è scremata dai media, e trascurata dal governo; collettivi politici, associazioni, gruppi informali d’individui, affrontano la crisi; organizzati in città, o su territorio regionale, forniscono un sostegno agli individui e alle famiglie più vulnerabili, affinché nessunx venga lasciatx solx.
Da sud a nord la rete di solidarietà si è attivata a pieno regime, tra queste l’associazione La terra di Piero a Cosenza, (creata dagli Ultras Cosenza), distribuisce pasti alle famiglie con basso o zero reddito. A Napoli La Mensa Occupata ha formato la Brigata di Solidarietà Vincenzo Leone, la quale garantisce pasti e prodotti essenziali; ha anche attivato uno sportello legale e un supporto psicologico, tra i vari servizi di mutuo soccorso che fornisce alla popolazione. Il gruppo ultras Ingrifati, a Perugia, ha creato la “spesa solidale”, sostiene le famiglie in necessità con una spesa di generi alimentari e prodotti essenziali. In Lombardia sono molti i collettivi e le associazioni attive per far fronte e dare un supporto tangibile contro l’emergenza.
È notevole come molti di questi soggetti attivi nell’emergenza siano normalmente il target della repressione dello stato; ultras, anarchici, squatters; percepiti e descritti dai media come un nemico pubblico. Questa non è la prima volta che i movimenti sociali agiscono in tempi di crisi: possiamo ricordare il terremoto che colpì L’Aquila nel 2009, o il terremoto di Norcia nel 2016, quando molti collettivi e associazioni si attivarono pe sostenere le popolazioni colpite.

Sembrerebbe che il governo italiano abbia avuto la possibilità di prevenire o almeno ridurre l’emergenza, ma la pressione ricevuta da Confindustria, affinché la produzione non fosse interrotta in Italia settentrionale, una delle aree più industrializzate del paese, ha condotto alla grande tragedia che si è consumata in quelle zone. Il risultato di questo accanimento è l’impressionante numero di decessi, le sue conseguenze sociali ed economiche per la popolazione, e uno stato di emergenza non ancora sedato.

In questo momento di grande difficoltà per ognunx noi, l’autorganizzazione e la costruzione di una fiducia reciproca sono la nostra arma principale; soprattutto quando l’emergenza si trasformerà in una crisi economica di grandi proporzioni, e a noi, lavoratorx e contribuenti, verrà richiesto di compiere il sacrificio più grosso. Questo periodo, per quanto oscuro possa essere, nasconde una grande opportunità; potrebbe essere il momento proficuo per esigere che ci siano riconosciuti i nostri diritti; potrebbe essere il momento di pretendere una qualità di vita migliore per tuttx; in questo momento d’inadeguatezza politica della crisi, noi, lavoratorx, siamo più che necessari al sistema, questo è il momento di riprenderci quel che ci hanno tolto.

In ricordo di Salvatore Ricciardi, e alla lotta per la libertà e l’uguaglianza.
Non verrai mai dimenticato.

Questa è una versione riadattata e tradotta di un articolo pubblicato sul blog di International Approach in [https://internationalapproach.wordpress.com/2020/04/11/the-perpetual-state-of-abnormality/]

Paoletta